Con l’ordinanza n. 6741, depositata ieri, la Cassazione è tornata a occuparsi dei profili elusivi dello schema noto come “leverage cash out”. Con tale espressione si identifica una serie di operazioni attraverso le quali i soci persone fisiche di una società con ingenti riserve di utili “monetizzano” tali riserve, minimizzandone la tassazione.
Il caso analizzato dalla Suprema Corte riguardava una spa, con una cospicua riserva straordinaria formata con utili, nella quale i soci di maggioranza, legati da vincoli familiari, detenevano il 27% delle quote ciascuno (mentre il restante 19% apparteneva a soggetti estranei al gruppo familiare).
Nel 2010, tutti i soci della spa avevano rivalutato le proprie partecipazioni ex artt. 5 e 7 della L. 448/2001 e art. 2 del DL 282/2002, mediante il pagamento dell’imposta sostitutiva e allineandone il valore a quello di mercato.
I soci di maggioranza avevano poi costituito una newco, alla quale avevano ceduto le loro azioni nella spa, insieme agli altri soci, per un corrispettivo pari al valore rivalutato e pattuendo il pagamento del corrispettivo in due rate.
La prima rata era stata pagata dalla newco mediante gli utili distribuiti dalla spa.
Per la seconda rata, secondo quanto si legge nell’ordinanza, era stato convenuto che una parte del pagamento avvenisse mediante versamento soci in conto capitale. In realtà, dalla sentenza di merito (C.T. Reg. Emilia Romagna 10 dicembre 2021 n. 1492/4/21), sembrerebbe desumersi che i soci avessero rinunciato a esigere il prezzo della vendita delle partecipazioni, con conseguente aumento del Patrimonio netto della newco.
Per la restante parte, era stata prevista l’emissione in favore dei cedenti di quattro prestiti obbligazionari, per la cui estinzione la newco aveva attinto alla riserva straordinaria di utili della spa e agli utili distribuiti nel tempo dalla stessa.
L’operazione, ad avviso dell’Ufficio, aveva consentito ai soci della newco di incamerare gli utili della spa (imponibili soltanto nella misura del 5% del loro ammontare ex art. 89 comma 2 del TUIR) senza scontare la tassazione prevista per i redditi di capitale. Era stata infatti aggirata l’applicazione dell’art. 47 del TUIR, trasformando la distribuzione di utili, in parte, in rimborso di prestiti obbligazionari e, in parte, in apporti di capitale nella newco, detassati all’atto della loro restituzione. Secondo l’Ufficio, tale indebito vantaggio fiscale non si sarebbe verificato in caso di conferimento nella newco delle medesime partecipazioni.
Come risulta anche dalla sentenza di merito, l’Amministrazione finanziaria aveva quindi contestato l’operazione come un’abusiva “cessione circolare delle partecipazioni” ai sensi dell’art. 10-bis della L. 212/2000.
La Cassazione ha respinto l’appello dell’Ufficio, condividendo la decisione dei giudici di secondo grado, i quali avevano escluso la configurabilità di una fattispecie abusiva, in ragione della presenza di ragioni extrafiscali non marginali. In particolare, l’operazione era finalizzata a:
– liquidare i soci non interessati al rilancio industriale e finanziario del gruppo, reso necessario dalla crisi del settore di riferimento;
– incrementare il Patrimonio netto per poter più agevolmente ricorrere al credito bancario;
– costituire una holding familiare.
Secondo la Cassazione, la corrispondenza di tali finalità con la realtà effettiva dell’operazione era dimostrata dal fatto che l’operazione avesse consentito un aumento del Patrimonio netto, l’incremento dei finanziamenti bancari e l’aumento del fatturato consolidato e degli utili ante imposte.
I giudici avevano inoltre rilevato che l’operazione avesse consentito l’agevole liquidazione dei soci di minoranza e che agli stessi esiti non si sarebbe potuto pervenire tramite il conferimento delle azioni (che avrebbe anche imposto il deposito della relazione peritale di stima presso il Registro delle imprese, che i soci intendevano scongiurare per evitare la divulgazione di informazioni riservate).
Con l’ordinanza in commento la Cassazione ha confermato il suo orientamento secondo cui l’operazione di leverage cash out, anche quando il corrispettivo della cessione viene pagato con gli utili della società “ceduta”, non configura abuso del diritto qualora la stessa sia dotata di sostanza economica e, cioè, quando sia espressione della volontà dei soci di procedere al riassetto delle società del gruppo (cfr. Cass. 17 marzo 2020 n. 7359 e 16 settembre 2021 n. 25131).
A fronte delle aperture della Cassazione, occorre tenere presente che, secondo la prassi amministrativa, invece, quando un’operazione di questo tipo non realizza un effettivo disinvestimento, perché le persone fisiche continuano a possedere la partecipazione ceduta per il tramite della società cessionaria, si realizza una c.d. “operazione circolare” (ossia, la cessione indiretta a sé stessi) e quindi uno schema abusivo ex art. 10-bis della L. 212/2000 (cfr. principio di diritto Agenzia delle Entrate n. 20/2019 e risposta a interpello n. 537/2019).
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