Erano 675 nel 2023, e oggi sono 626: quasi 50 imprese in meno. Ma è record europeo di acceleratori: in pratica è come se ci fosse una «palestra» per ogni venti startup
A Torino crescono più gli incubatori e gli acceleratori per startup (sono 31) che le società innovative che queste strutture dovrebbero formare e lanciare. Nel 2024, secondo l’ultimo report del Club degli investitori, presentato ieri mercoledì 12 marzo alla business school Escp di via Andrea Doria, la città ha registrato per il secondo anno consecutivo il calo (-7%) del numero di startup e pmi innovative. Erano 675 nel 2023, e oggi sono 626: quasi 50 imprese in meno.
Un trend in linea con la media nazione ma che comunque fa rumore nella «città europea dell’innovazione 2024». Anche perché il calo del numero di società innovativa arriva a fronte di una crescita, quasi esponenziale, del numero di acceleratori: che oggi sono più di 30 realtà, attive all’aerospazio al gaming fino all’impatto sociale e alla mobilità. In pratica è come se ci fosse una «palestra» per ogni venti startup, quasi un record europeo. Per fare un esempio Monaco di Baviera che conta più di 2 mila startup, 2 miliardi di investimenti nel settore e ben 7 unicorni (startup che valgono più di un miliardo) ha grossomodo lo stesso numero di acceleratori di Torino, appena due in più.
A volere vedere il bicchiere mezzo pieno va registrato che le startup che «resistono» sono molto più attrattive rispetto al passato. Tanto che gli investimenti sono aumentati da 65 a 253 milioni. Buona parte dei capitali raccolti rispondono a uno stesso indirizzo: quello del fondatore di Newcleo, il nucleare di nuova generazione, di Stefano Buono, oltre 120 milioni di euro in un anno. Tuttavia nel 2024 si sono affermate giovani società come Tau (fili per batterie elettriche per la nuova mobilità); Aikoo (Ai per l’aerospazio); Kither e Pesalis (Biotech) che nel complesso hanno raccolto più di 50 milioni di euro.
In media le startup torinesi presentano ricavi ancora esigui, 864 mila euro a testa, ma insieme rappresentano un ecosistema che comincia a pesare e non poco sull’economia cittadina: più di 6 mila dipendenti e oltre 400 milioni di ricavi. La filiera delle startup ha perso qualche società per strada nel 2024, ma quelle che rimangono sembrano molto più strutturate che in passato. Cresce infatti il livello di internazionalizzazione: il 64% delle aziende ha una vocazione globale, il 41% ha nel team almeno una risorsa non italiana, il 27% raccoglie capitali da investitori esteri.
Sembra tramontata l’era «solo digital» come principale settore di attività. Il 28% delle startup opera nel «deep tech», ovvero quelle società attive nello Spazio, le biotecnologie, la robotica, i semiconduttori, comparti legati a doppio filo con l’industria manifatturiere del territorio. Il problema di sempre, non solo torinese, ma italiano, è quello dell’accesso ai capitali. L’anno scorso gli investimenti in startup nel nostro Paese è cresciuto del 28%, con il venture capital balzato a 1,5 miliardi. Un passo in avanti ma sempre molto indietro rispetto ad altre realtà: in Uk gli investimenti in società innovative valgono circa 8 miliardi di sterline l’anno; in Germania 7,4 miliardi di euro ; in Francia 7,1 miliardi. Giocoforza nel bilancio della startup torinese quasi il 50% dei finanziamenti arriva dal debito bancario, un’anomalia nel pianeta dell’innovazione. Magari nascerà un nuovo acceleratore per startup per cercare di risolvere il problema.
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