Porti fantasma italiani. Di chi è la colpa? La nostra inchiesta


Porti fantasma, la nostra inchiesta

Lo sviluppo della portualità turistica rappresenta un importante tassello verso la crescita del turismo nautico in Italia. Ma il sistema mostra la corda sotto tanti aspetti: legislativi, burocratici, amministrativi. Ne sono l’emblema alcuni progetti di porti annunciati in pompa magna e per mille ragioni mai portati a termine. E che sono lì, a testimoniare che c’è bisogno di un cambiamento per evitare ulteriori iniziative fallimentari e sprechi e valorizzare quel (poco) che è stato fatto. La nostra inchiesta

Porti Fantasma in Italia

L’economia dei porti italiani è in costante crescita. Secondo l’ultimo rapporto di Assomarinas, l’associazione dei porti turistici aderente a Confindustria Nautica, solo nel 2024 il giro d’affari degli ormeggi stanziali è aumentato in media del 2 per cento, mentre per gli ormeggi in transito si è registrato un +2,3 per cento. Alla rete attuale di 537 porti turistici si aggiungono altre strutture, da Palermo a Piombino a Pietra Ligure.

Ma soprattutto le coste italiane tornano ad attirare investitori che si lanciano in ampliamenti, ristrutturazioni e nuovi progetti sfruttando fondi nazionali ed europei. Per il 2025 le stime del settore sono ancora più positive, trainate dai numeri favorevoli del charter e della cantieristica “made in Italy”. Che porti e marina siano strategici per sostenere e promuovere il turismo nautico, noi del Giornale della Vela lo diciamo da anni. Ma oggi finalmente se ne rendono conto anche le istituzioni. A sancirlo ufficialmente è stato il “Piano Mare” approvato dal Governo nel 2023 che riconosce la portualità turistica quale settore “industriale” capace di sostenere lo sviluppo economico e sociale del turismo del Paese e ne propone un indirizzo unitario. Insomma per i porti e gli approdi è un buon momento.

Porti fantasma, i progetti irrealizzati

Eppure per i porti italiani rimangono tanti punti critici: lungaggini burocratiche, assenza di un coordinamento nazionale, interessi privatistici e intenti speculativi, per non parlare di strumentalizzazione politica, abusi edilizi e gestioni fallimentari.

A rappresentare l’emblema di questi nodi ancora da sciogliere spiccano una serie di progetti annunciati in pompa magna e mai realizzati. Sono approdi e marina turistici che nonostante gare di appalto, studi territoriali, fiumi di denaro, approvazioni tecniche e concessioni, rimangono a tutti gli effetti dei porti “fantasma”. Con situazioni spesso paradossali che si trascinano per anni portando solo disagi al territorio, all’economia e alla comunità di velisti. Ecco alcuni di questi porti “ombra” e la loro triste storia fallimentare.


Civitavecchia, caso kafkiano

Un esempio lampante di quanto può essere assurda e sfinente la burocrazia italiana in fatto di porti è il caso di Civitavecchia. Nel 2016 cinque società presentano i propri progetti per la riqualificazione del porto cittadino. L’assegnazione dei lavori deve passare attraverso la “Conferenza dei Servizi” (Dpr 509/1997), un procedimento concessorio attivato dall’Autorità Portuale.

Il caso del Porto di Civitavecchia è iconico, quando si tratta di burocrazia sfinente all’italiana. Tra passaggi di consegne, uffici che non si parlano tra loro, investitori che si ritirano, Conferenze di Servizi e Sopritendenza, è tutto fermo dal 2016. E per adesso non ci sono segnali positivi…

Il primo intoppo è che il perimetro delle aree di intervento non viene definito, lasciando tutto alla creatività dei proponenti. Nel 2017 vengono dunque rimandate indietro tutte le proposte e si ricomincia. Delle cinque società di investitori, ne restano solo tre, ma una di queste denuncia un concorrente per anomalie nella procedura. Quindi il Comune blocca tutto e aspetta la decisione dei giudici.

Passano due anni e il processo si conclude con il proscioglimento dell’accusato. Nel 2022 la Conferenza dei Servizi decide che la sola proposta che soddisfa i requisiti del progetto è proprio quella della società vittima della denuncia penale rivelatasi infondata.

Iniziano i lavori? Assolutamente no. Interviene la Soprintendenza perché il contesto del porto è storico e di grande pregio architettonico, per cui si perde un altro anno tra valutazioni, modifiche e attese del via libera che arriva solo nell’estate 2023. Dopo sette anni i costi del progetto passano da 23 a 32 milioni. Poi ad agosto 2023 arriva la doccia fredda: il Consiglio di Stato annulla tutto riscontrando un “evidente conflitto di interesse e l’assenza di imparzialità che hanno condizionato la procedura”. Quindi? Si riparte da zero…


Fiumicino, ma quale “concordia”!

Ancora più complicata è la realizzazione del porto turistico a Fiumicino, in sospeso da ben 15 anni. Sulla costa del litorale laziale di Isola Sacra, in corrispondenza della foce del Tevere, nel 2010 era stato annunciato quello che doveva essere il “più grande porto turistico d’Europa”.

Il “Porto della Concordia” di Fiumicino (Roma) è in sospeso da ben 15 anni. Vennero anche venduti in anticipo i posti barca ad armatori. Poi la stessa società e il suo dominus, Francesco Bellavista Caltagirone, finirono sotto inchiesta. I lavori si fermarono e i cantieri vennero “congelati”. Nel 2022 sembrava si dovesse ripartire sotto nuova proprietà straniera, ma l’antitrust ha bloccato tutto.

La regione Lazio aveva rilasciato al consorzio “Iniziative Portuali Porto Romano” una concessione della durata di 90 anni e la struttura si sarebbe dovuta chiamare “Porto della Concordia”. Vennero anche venduti in anticipo i posti barca ad armatori. Poi la stessa società e il suo dominus, Francesco Bellavista Caltagirone, finirono sotto inchiesta. I lavori si fermarono e i cantieri vennero “congelati”.

Con il passare del tempo sono emersi anche evidenti criticità strutturali che impedirebbero, visto il tipo di fondale, la costruzione di quel tipo di porto turistico. Nel 2022 la concessione è stata comprata all’asta da Royal Caribbean, una multinazionale statunitense tra le più grandi al mondo nel settore crociere, che ha presentato una revisione dei progetti di costruzione del porto turistico in modo da farlo diventare anche un porto crocieristico.

A gennaio 20222 l’Antitrust ha però bloccato l’operazione imponendo al Comune di fare un’apposita gara d’appalto pubblica per assegnare la concessione marittima relativa al porto, in ottemperanza delle vigenti regole del libero mercato. Tutto da rifare…


E il Marina di Cicerone?

Sempre nel Lazio, il cosiddetto “Marina di Cicerone” di Formia è stato oggetto di una lunga e disastrosa storia burocratica e giudiziale. La vicenda ha origine con la concessione sottoscritta l’8 marzo 2010 per un importo di 110 milioni tra il Comune di Formia e la società “Marina di Cicerone Spa” del Gruppo Ranucci secondo un “Project Financing” per la realizzazione di un marina con oltre 600 posti barca, supplementare all’esistente porto cittadino. Le dimensioni del progetto però superano il perimetro urbanistico del piano regolatore e i lavori necessitano delle autorizzazioni paesaggistico-ambientali. Tuttavia, malgrado le istanze e i solleciti vari, il Comune di Formia non invia la documentazione richiesta provocando una lunga fase di stallo.

Quattro dirigenti sono stati indagati per un danno erariale da 3,6 milioni. La società a quel punto fa dietro front e si ritira. Dal 2020 inizia una serie di tira e molla per l’approvazione di un nuovo piano regolatore dell’area del porto con ampliamenti e cambi di destinazione d’uso che coinvolgono però aree impraticabili. Nel luglio del 2023 se ne viene finalmente a capo e iniziano i lavori per la “Passeggiata di Cicerone”, un itinerario archeologico che però non riguarda il porto.


Torre del Greco, fermi al palo

Ci spostiamo in Campania, a Torre del Greco, dove da anni esiste un progetto di riqualificazione del porto che versa in uno stato di degrado, con edifici vecchi e pericolanti, pochi posti barca, sottopassi della ferrovia sporchi e abbandonati e una lunga spiaggia non balneabile. L’obiettivo sarebbe anche di rilanciare l’approdo, strategico per il turismo nautico del Golfo di Napoli (ve ne abbiamo parlato anche sullo scorso numero, a pagina 34). Il nuovo progetto, all’avanguardia e sostenibile a livello ambientale, ha tutte le caratteristiche per ottenere i fondi europei del PNRR ed è stato promosso dal Comune di Torre del Greco già dal 2021. Lo stesso Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, lo ha sostenuto pubblicamente.

Così dovrebbe essere il nuovo porto turistico di Torre del Greco (Napoli), secondo il progetto che giace fermo nell’Ufficio Grandi Opere della Regione Campania. Anche il governatore regionale De Luca lo aveva sostenuto pubblicamente. Ma per adesso, ancora nulla di fatto.

Di fatto, c’è l’approvazione della Giunta Comunale ed è stato inviato ufficialmente alla Regione nell’ottobre 2024. L’ente regionale tuttavia gestisce tutti i progetti sul territorio campano e c’è da fare la fila. Così, nonostante i molteplici tentativi, la riqualificazione del porto di Torre del Greco per il momento giace su qualche scrivania. Ad oggi manca lo studio definitivo del progetto e l’istituzione della gara per l’appalto. Quanto tempo aspetteremo ancora?


Marsala, il Marina fantasma

La Sicilia non fa eccezione. Doveva essere un’opera destinata a cambiare il volto della città di Marsala, in grado di produrre economia, posti di lavoro e rilanciare il turismo in uno scalo strategico che si trova in uno dei punti più suggestivi del Mediterraneo, tra le isole Egadi, San Vito lo Capo e la Riserva dello Zingaro. Invece dopo anni di inutili attese, del nuovo Marina di Marsala non c’è neanche l’ombra. Il progetto era partito nel 2016 in attuazione del famoso Decreto Burlando che incentivava a riqualificare aree portuali attraverso una rete virtuosa che univa comune e ditte private.

A vincere la gara di appalto è la società Marsala Yachting Resort e nel 2017 viene rilasciata la concessione. A quel punto però sorge il primo problema: il porto va messo in sicurezza perché è inadatto a qualsiasi tipo di attracco. Quindi? La MYR propone di fare un ulteriore investimento per la messa in sicurezza del porto dividendo le spese con il Comune. Ma poi interviene la Regione che dice “Il progetto non va bene, c’è troppo cemento, e attività commerciali che pregiudicano il centro storico. Ci pensiamo noi”.

Invece si blocca tutto e nell’aprile del 2020, visto che i lavori non sono mai stati avviati, la Regione stessa revoca la concessione a MYR. Nel frattempo l’area del porto è sempre più degradata con edifici cadenti e discariche a cielo aperto. Lo scorso novembre, per l’ennesima volta, è stato annunciato dal Comune della città l’inizio dei lavori con uno stanziamento di un milione e 200mila euro. A metterci mano dovrebbe essere un gruppo di imprese di Roma. Tra i velisti in banchina tuttavia si respira scetticismo…


“Patata bollente alla Marinara”

Risaliamo su per l’Adriatico. C’erano le miss sorridenti che reggevano il nastro in mezzo alla piazza, c’era la parata di autorità in grande spolvero e una grande torta di frutta colorata. Il 22 giugno del 2007 a Marina di Ravenna si inaugurava quello che doveva essere l’approdo più grande dell’Adriatico con tanti posti barca, appartamenti vista mare, negozi e parcheggi. I sogni di una nuova “Porto Cervo” con piadina e squacquerone però sono rimasti tali. A svolgere i lavori, dopo aver ottenuto la concessione demaniale cinquantennale, è stata la società Seaser, realtà privata controllata dal Cmr, ossia la Cooperativa muratori riuniti di Filo di Argenta.

Arriva però la grande crisi economica del 2009 e lo stesso fallimento della Coop controllante nel 2011 per bancarotta, non facilita le cose. C’è stata anche una parentesi in cui la gestione è passata per le mani di “Italia Navigando”, braccio operativo sotto il controllo del Ministero del Tesoro, ma è finito tutto con un flop. Oggi l’intero pacchetto di azioni di Seaser è in mano a Sorgeva, cooperativa agricola di Argenta che però all’inizio del 2025, dopo aver messo in sicurezza la darsena, ha deciso di vendere l’intero compendio per 9 milioni di euro. Chi si prenderà questa “patata bollente”?


Niente di nuovo a Senigallia

Anche le Marche non si sottraggono allo stillicidio. Nonostante l’ottenimento della Bandiera Blu per gli approdi turistici, il porto di Senigallia vanta da anni gravi disservizi. Puntualmente arrivano fondi, l’ultimo a gennaio 2024 di 2,5 milioni di euro, si fanno grandi annunci di lavori, ma poi tutto rimane uguale.

Lungo le banchine mancano wc e docce, ci sono colonnine elettriche rotte nel 2021 e mai ripristinate, non c’è il rifornimento di carburante, il travel lift è inagibile dal 2022, c’è un impianto di smaltimento delle acque di sentina fuori uso e soprattutto non è stato mai dragato l’avamporto. Era stato ereditato dalla precedente Giunta un finanziamento regionale di 840.000 euro proprio per i lavori di escavo del porto, ma è stato revocato non essendo stato eseguito l’appalto nei tempi previsti. Ci si chiede con quali criteri vengano assegnate le bandiere che sventolano. Il fatto è che se non ci sono servizi, ma solo disagi ei velisti si stufano e vanno altrove, facendo per giunta un pessimo passaparola.


Ospedaletti, dove è finito il porto?

Anche in Liguria i progetti dei nuovi porti fanno gola ad amministrazioni e privati. Salvo che il contesto ambientale è particolarmente critico. Sull’onda del Decreto Burlando, il comune di Ospedaletti, Riviera di Ponente tra Sanremo e Bordighera, nel 2003 delibera la realizzazione del nuovo Marina di Baia Verde.

Del porto di Ospedaletti, nel ponente ligure, si parla dal 2003. Prima avallato dalle istituzioni, poi bloccato per motivi ambientali, poi vittima di rinvii e palleggi fino ad oggi. Il progetto, del valore stimato di 90 milioni di euro, prevede 115 posti barca, un cantiere e molto altro. Ma è ancora tutto sulla carta.

L’operazione viene data in gestione all’impresa Fin.Imm, con affidamento diretto da parte dell’allora sindaco Flavio Parrini, poi arrestato per tangenti a fine anno. Contro il progetto, che si mangia gran parte della spiaggia, dei fondali con praterie di Posidonia e del verde pubblico, si costituisce un comitato civico che denuncia il tutto alla Soprintendenza dei Beni Ambientali, oltre che al Tar e al Consiglio di stato. Nel frattempo la Commissione Europea dichiara la zona “Sito Di Interesse Comunitario” e nel 2006 Legambiente assegna la bandiera nera al progetto. Nel 2007 iniziano i lavori, ma nel 2009 vengono sospesi per un contenzioso interno alla stazione appaltatrice.

Poi nel 2013 arriva una sentenza del Consiglio di Stato che in sintesi rileva che il porto non aveva alcuna necessità di essere realizzato, violava il paesaggio e la stessa procedura di avvio dell’opera risultava illegittima. Parte l’annesso contenzioso per il risarcimento dei danni che nel 2022 si conclude però con un nulla di fatto. Nel frattempo la Fin.Imm fallisce.

Poi il Comune lancia una nuova gara d’appalto per l’assegnazione della concessione demaniale e dei lavori e approva il “Project Financing” della società “Nuovo Porto di Ospedaletti”. Il progetto, del valore stimato di 90 milioni di euro, prevede 115 posti barca, un cantiere navale con bacino di alaggio, aree di rimessaggio a terra, creazione di una spiaggia, giardini, piste ciclabili, parcheggi, insomma di tutto e di più. Peccato che tutto è ancora sulla carta, in attesa di nuovi studi, integrazioni, permessi e via dicendo.


Per non avere più porti fantasma

Come abbiamo visto, sono tutti progetti “maledetti” sparsi per l’Italia da Nord a Sud, nati male e finiti peggio, anzi mai conclusi. Ce ne sono sicuramente altri, a riprova di un sistema nazionale che nonostante i numeri positivi mostra la corda su tanti aspetti.

Come rimediare? Bisognerebbe creare innanzitutto una cabina di regia nazionale per coordinare l’operato di regioni ed enti locali su vari fronti: gestione delle aree territoriali, assegnazione delle concessioni, ammissioni a fondi e sgravi fiscali. Insomma fare “sistema”, come avviene in Francia o in Croazia. Poi tra gli indirizzi generali per la creazione di nuovi posti barca, sarebbe opportuno pensare non solo ai maxi yachts e alla nautica di lusso, ma riservare una quota maggiore di ormeggi alle unità di piccole-medie dimensioni. Infine sarebbe necessario stabilire una volta per tutte una classificazione di “qualità” dei porti e dei marina, così come avviene per hotel e strutture turistiche, con un’effettiva corrispondenza tra tariffe richieste e servizi offerti. È così difficile?


L’altra faccia della medaglia

L’Italia è piena di porti efficienti, posizionati in luoghi strategici per il turismo e apprezzati per la qualità del servizio. Da Cala del Forte in Liguria a Marina Cala dei Sardi, dal Marina di Cala de’ Medici in Toscana, al Marina d’Arechi in Campania, dal Capo d’Orlando Marina in Sicilia al nuovo Shipyard & Marina Sant’Andrea in Friuli, solo per fare qualche esempio.

Buon Esempio/1. Gruppi d’investimento come Marinedi (che gestisce 15 porti in giro per l’Italia, nella foto il Marina di Procida) superano
il concetto di imprenditoria locale e propongono una gestione allargata degli approdi, coordinata, in linea con il mercato anche estero e soprattutto funzionale e all’avanguardia.

Tra i modelli virtuosi c’è la rete di approdi Marinedi che gestisce 6.000 posti barca in 15 strutture e il gruppo turco D-Marin appena sbarcato in Italia. Sono gruppi che superano il concetto di imprenditore locale e propongono una gestione coordinata allargata e coordinata, funzionale e all’avanguardia, in linea con il mercato anche estero. Dimostrano che con volontà e spirito imprenditoriale molto si può fare…

Marina Sant'AndreaMarina Sant'Andrea
Buon esempio/2. Shipyard & Marina Sant’Andrea è il porto turistico del Nord Adriatico situato nella laguna di Marano, in Friuli, regione che ha investito – fruttuosamente – sulla nautica: oltre ai 700 posti barca (in mare e a terra) tra i suoi servizi vanta un polo di refit di assoluta eccellenza dove vanno a “rifarsi il trucco” alcune delle più belle barche del Mediterraneo (Swan, Solaris, Sanlorenzo solo per citare alcuni cantieri di cui il marina è official service center).

Quello che è certo è che solo un fronte di porti accoglienti, moderni e sostenibili lungo le nostre coste può essere un traino decisivo non solo per la nautica “made in Italy”, ma soprattutto per il turismo nautico. Cosa aspettiamo?

David Ingiosi



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