Fino a -0,2% di produzione industriale, +0,3% di aumento dei prezzi alla produzione, disoccupazione in crescita e crollo della produttività: la transizione ecologica, se non gestita con attenzione e accompagnata da misure concrete, corre il rischio di diventare una trappola economica per il sistema produttivo italiano, in particolare per le piccole e medie imprese. È quanto spiega un documento del Centro studi di Unimpresa, che lancia l’allarme sui costi reali, immediati e misurabili del passaggio a un paradigma tecnologico più sostenibile, in una fase della congiuntura economica resa ancora più incerta e complessa dalla “guerra commerciale” mondiale innescata dall’aumento dei dazi Usa.
«La transizione green ha un impatto ambientale positivo nel medio periodo, ma nel breve rappresenta uno shock recessivo per l’economia reale. Aumentano i costi, si riduce la produttività, rallenta la produzione e si bloccano gli investimenti. È un cocktail pericoloso per le micro, piccole e medie imprese» commenta il direttore generale di Unimpresa, Mariagrazia Lupo Albore.
Secondo il report del Centro studi di Unimpresa, che ha elaborato alcuni dati statistici della Banca d’Italia, la produzione industriale si contrae fino al -0,2%, con un impatto che si manifesta in modo pieno entro i primi 36 mesi dalla riconversione tecnologica. Contestualmente, la disoccupazione sale di circa 0,04 punti percentuali, mentre l’indice dei prezzi alla produzione (PPI), che misura l’inflazione “di filiera”, registra un incremento massimo del +0,3%.
Anche l’indice dei prezzi al consumo (Pce) aumenta, seppur in misura più contenuta (+0,1%). La dinamica è chiara: le tecnologie verdi, meno mature e meno produttive di quelle tradizionali, riducono temporaneamente l’efficienza del sistema produttivo. È il classico shock dal lato dell’offerta, che produce un effetto di stagflazione: crescita in calo e prezzi in salita. A soffrire di più sono proprio le piccole e medie imprese, che rappresentano oltre il 90% del tessuto produttivo nazionale e che non dispongono né della forza finanziaria né della capacità organizzativa per affrontare in autonomia la riconversione green.
Tra i segnali più preoccupanti c’è il rischio di una paralisi degli investimenti. La combinazione tra incertezza regolatoria, costi crescenti e rallentamento della produttività riduce la propensione all’innovazione, proprio in una fase storica in cui servirebbero investimenti massicci in macchinari, impianti, formazione e digitalizzazione. I benefici della transizione green, sebbene reali, si manifestano solo dopo 4-5 anni, quando la tecnologia verde diventa più matura ed efficiente. A quel punto l’attività economica recupera, l’intensità delle emissioni diminuisce in modo strutturale e il sistema produttivo diventa meno dipendente dai combustibili fossili. Tuttavia, nel frattempo, i danni possono essere irreversibili per migliaia di imprese.
Lo shock green spiega fino al 10% della variazione nelle emissioni di CO2, ma solo tra il 2% e il 6% della volatilità macroeconomica: questo vuol dire che l’ambiente ci guadagna, ma il conto lo pagano soprattutto le aziende e i lavoratori nel breve termine. Per evitare che la transizione si trasformi in una crisi industriale, il governo potrebbe intervenire con un piano industriale nazionale per la riconversione tecnologica delle pmi, articolato in quattro direttrici: incentivi fiscali automatici per l’innovazione green e digitale; accesso agevolato al credito e potenziamento del Fondo di garanzia; formazione tecnica e riqualificazione professionale per i lavoratori; neutralità tecnologica, evitando imposizioni dall’alto, lasciando che sia il mercato a premiare le soluzioni più efficienti.
«Le grandi aziende possono permettersi di investire, diversificare, accedere a finanziamenti dedicati. Le PMI no: rischiano di subire gli effetti della transizione senza poterne cogliere i benefici. E senza un intervento dello Stato, saranno le prime a fermarsi. Il cambiamento climatico va affrontato con decisione, ma la sostenibilità ambientale non può avvenire a discapito della sostenibilità economica e sociale. Senza strumenti adeguati, la transizione rischia di creare più problemi di quanti ne risolva. Serve equilibrio, visione e concretezza. Solo così il Paese potrà affrontare questa sfida senza lasciare indietro nessuno» osserva il direttore generale di Unimpresa.
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