Difesa UE: le piccole e medie imprese italiane saranno pronte?


Per effetto del “ciclone Trump” si è finalmente avviato, anche in Italia, un dibattito sulle priorità della nostra sicurezza nazionale che si incrociano con le sfide internazionali. C’è però un aspetto poco discusso: quello delle piccole e medie imprese che in Italia contribuiscono per il 63% al valore aggiunto e per il 76% all’occupazione (si veda l’articolo di Marta Casadei sul Sole 24 Ore del 10 giugno 2024).

Un intreccio di sicurezza e interessi nazionali

Tutto si intreccia: questioni che riguardano sicurezza internazionale ed interessi nazionali, industria della difesa, transizioni energetica e verde ed anche crisi di comparti come l’automobilistico, e infine la guerra dei dazi. Le discussioni diventano temi di politica interna e riguardano questioni essenziali: i Parlamenti europei saranno chiamati a importanti decisioni sui bilanci dello Stato. È l’applicazione del principio base in ogni democrazia rappresentativa: “no taxation without representation”. Il dibattito, in sintesi, verte sul classico dilemma “burro o cannoni” e dopo decenni in cui, almeno in Europa occidentale, la guerra sembrava distante dall’orizzonte psicologico dei cittadini si comprende che la sicurezza è un presupposto necessario (anche se non sufficiente) per il benessere economico e sociale. La deterrenza militare di uno Stato nei confronti delle minacce esterne è infatti un “bene pubblico” che corrisponde ad un bisogno al quale deve provvedere lo Stato.

Razionalizzazione della produzione per la Difesa

Si tratta allora di capire come garantire sicurezza ed è chiaro che si fa meglio unendo le forze ed ottenendo economie di scala. Quindi, la necessità di ingenti investimenti e le ragioni politiche esigono una razionalizzazione delle produzioni per la difesa. Ad essere protagonisti sono i campioni di questa industria, come Leonardo e Fincantieri in Italia, in grado di offrire soluzioni tecnologiche, compatibili con standard di interoperabilità tra forze alleate emanati dalla NATO e di costituire i mattoni fondanti di un sistema europeo che dovrà consolidarsi per rendersi capace di produrre le quantità richieste dalla crescente domanda. La percezione di una maggiore esigenza di sicurezza fa aumentare i bilanci e la domanda, ma esistono rigidità nella capacità di produzione che è legata ad investimenti anche sugli impianti e gli altri fattori di produzione. C’è un divario tra le capacità e i tempi dell’offerta rispetto a quelli della domanda.

Può allora essere interessante spostare l’attenzione dai colossi, che dovranno diventare ancora più grandi con joint ventures, come quella avviata tra Leonardo e Rheinmetall, alle piccole e medie imprese. Anche nel mondo della difesa le PMI hanno un ruolo importante. Si tratta spesso di imprese della meccanica di precisione e dell’elettronica che sono parte dell’indotto di grandi gruppi industriali. Quando questi ultimi sperimentano periodi difficili, come avviene adesso per l’industria automobilistica a causa del calo della domanda, le PMI fornitrici del settore entrano in crisi. E d’altra parte, quando c’è un’offerta crescente alla quale la grande industria non riesce a far fronte è importante rafforzare la capacità di produzione delle PMI subfornitrici. Si presentano così opportunità per contesti industriali come quello torinese, profondamente colpito dalla crisi dell’auto, ma anche dotato di tecnologie duali civili/militari e con un potenziale che, adeguatamente alimentato, può offrire soluzioni alle necessità di sicurezza europee.

Ne parlo con Stefano Serra, imprenditore nella meccanica avanzata che ha contribuito a sviluppare a Torino uno dei poli europei del Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (DIANA) con cui la NATO, anche nel contesto del suo Concetto Strategico di Madrid del 2022, contribuisce all’accelerazione nello sviluppo di start up e di un’innovazione non più legata a quello che Eisenhower chiamava il “complesso industriale-militare” ammonendo sui rischi derivanti dalla simbiosi tra l’Amministrazione di Washington e colossi come Boeing o Lockheed. Adesso problemi simili si propongono per il ruolo delle Big-Tech di cui abbiamo visto alcuni esponenti significativamente presenti alla cerimonia di insediamento di Trump il 20 gennaio.

Aumentare la produzione con la tecnologia

In ogni caso abbiamo la sfida di far aumentare la produzione dell’industria della difesa. Va affrontato il salto tecnologico cruciale abbinato all’incremento dei volumi da realizzare nel breve periodo. Serra si concentra sulla supply chain che nel passato è stata il fattore abilitante delle nostre grandi, sottolineando il potenziale dell’applicazione di tecnologie presso le PMI. Di fronte alle rigidità nei fattori di produzione tra i quali è fondamentale il capitale umano, occorre avvalersi dell’intelligenza artificiale per aumentare la produttività: occorre produrre una volta e mezzo di più e compensare la difficoltà di reperire addetti specializzati. Vanno quindi applicate nuove tecnologie ai processi prima ancora che ai prodotti. Si ricordano ad esempio i vantaggi in termini di costi e capacità di produzione che si avrebbero nel semplificare fino a dimezzare i tempi spesi per produrre documentazione legata alla progettazione ed in passaggi essenziali dello sviluppo produttivo come le revisioni progettuali. Un’applicazione accelerata dell’intelligenza artificiale nell’ambito delle PMI presenta un ulteriore vantaggio: le risorse dedicate a queste attività sono molto competenti ed è importante recuperarle nella progettazione in ingegneria.

Bisognerebbe investire su un fondo da mettere a disposizione delle PMI senza pretendere che esse singolarmente possano investire nello sviluppo di IA avanzate per migliorare la propria produttività in settori dove esiste una domanda come quello della difesa. Importante il ruolo dell’ecosistema locale per coniugare attività di carattere internazionale più mirate alla difesa, come il polo torinese di innovazione collegato a DIANA, con nuove iniziative di carattere aperto come il “Compagnia di San Paolo Institute for Advanced Studies” il centro di innovazione che avrà un impatto sia locale che nazionale istituito a gennaio da Fondazione Compagnia di San Paolo e Istituto italiano di Intelligenza Artificiale per l’Industria (AI4I). Il centro avrà sede a Torino, presso l’AI4I, che – come sottolineato dal Presidente della Compagnia, Marco Gilli, è stata pensata per attrarre ricercatori internazionali, stimolare la cooperazione tra ricerca fondamentale e industria, favorire i progressi nell’ambito dell’intelligenza artificiale e delle sue applicazioni industriali in settori quali intelligenza artificiale, robotica e aerospazio.

Con AI for industry si potranno fornire luoghi dove allenare ed utilizzare sistemi di reti neurali in maniera sicura, perché c’è anche un tema di confidenzialità. Si ritiene che in tale contesto si possano ottenere risultati in tempi brevi, specie se l’obiettivo iniziale è di automatizzare o semplificare i processi di documentazione.

Soluzioni rapide per la produttività

Infatti, se si offre alle PMI la serenità di operare in un ambiente protetto esse sono più veloci nell’adozione di nuove tecnologie rispetto alle grandi che hanno dei processi più strutturati e quindi tempi lunghi per l’avvio. Possiamo allora immaginare soluzioni quick win non solo per il valore che portano ma anche per i tempi di attuazione: se si realizzasse nei prossimi 6-8 mesi un sistema a disposizione delle nostre PMI probabilmente avremo benefici di produttività già dal 2026. Questo andrebbe vantaggio dell’intero sistema. Infatti, i grandi avrebbero fornitori in grado di produrre volumi più alti a parità di risorse.

Al riguardo, tenendo anche conto delle indicazioni del rapporto Draghi sul futuro della competitività europea, va considerato come soprattutto in questo contesto gli investimenti pubblici siano un fattore abilitante di quelli privati, se concentrati in un contesto produttivo capace di assorbirli come quello delle PMI italiane. L’Italia si può presentare come un’ottima finestra competitiva non solo per la capacità di seguire gli aumenti di domanda delle nostre grandi imprese ma pure per sviluppare, anche nell’industria della difesa, catene di fornitura europee analoghe a quelle del settore automobilistico tra Italia e Germania ed in un certo senso sostitutive ad esse, alla luce da un lato della crisi dell’auto tedesca e dall’altro del piano approvato il 18 marzo dal Bundestag, che modifica le regole costituzionali di bilancio, in un quadro internazionale mutato. Il pacchetto, ottenuto dal futuro cancelliere Friedrich Merz prima ancora del suo insediamento, può arrivare a 500 miliardi di euro destinati alla difesa e alle infrastrutture ed il sistema produttivo tedesco difficilmente riuscirà ad assorbire gli ordini collegati. Le PMI italiane, se rafforzate da investimenti nell’innovazione potranno far fronte alla domanda tedesca aumentando la propria capacità produttiva.

Assistiamo dunque ad una crescita dei grandi protagonisti industriali, ma i piccoli rimarranno complementari ad essi, avvicinandosi verso le medie dimensioni imprenditoriali che garantirebbero più solidi equilibri nel sistema.



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