(ASI) Venerdì scorso, i delegati di alcune tra le più grande aziende e tra i maggiori fondi di investimento stranieri hanno incontrato a Pechino il presidente cinese Xi Jinping per un business forum di alto livello, organizzato con l’obiettivo di rilanciare gli investimenti esteri in ingresso nel Paese asiatico.
La linea dura protezionista perseguita dalla nuova Amministrazione Trump sta agitando ulteriormente le acque e l’inasprimento delle restrizioni nei confronti di aziende tech cinesi, già praticato sotto la gestione Biden, non farà che aumentare l’incertezza sui mercati internazionali. La Cina, che ha fin qui adottato contromisure commisurate ai provvedimenti subiti, sta cercando di far valere la solidità dei suoi fondamentali per scongiurare conseguenze di rilievo ma anche per assumere le redini di un multilateralismo messo in forte discussione dal revisionismo statunitense e dal rafforzamento dell’eccezionalismo nordamericano.
Nel corso degli ultimi tre anni, le misure discriminatorie adottate dalla Casa Bianca hanno provocato una parziale fuga di capitali stranieri dalla Cina, eppure la dinamica resta tutt’altro che lineare. Al calo degli investimenti esteri netti in ingresso nel Paese, scesi di 168 miliardi di dollari lo scorso anno, si è infatti accompagnato un incremento nel numero delle nuove aziende a capitale straniero registrate, in crescita del 9,9% nel 2024 rispetto all’anno precedente.
Gli oltre quaranta ospiti di Xi gestiscono giri d’affari per centinaia di miliardi di dollari. I nomi più noti sono senza dubbio quelli di Tim Cook, CEO di Apple, Ray Dalio, fondatore di Bridgewater, Steve Schwartzman, CEO di Blackstone, Bill Winters, CEO di Standard Chartered, Raj Subramaniam, CEO di FedEX, Georges Elhedery, CEO di HSBC, Paul Hudson, CEO di Sanofi, Oliver Zipse, presidente di BMW, Akio Toyoda, presidente di Toyota, Toshiaki Higashihara, presidente esecutivo di Hitachi, Amin H. Nasser, presidente e CEO di Aramco, Ola Källenius, presidente del CdA e CEO di Mercedes-Benz, e Roland Busch, presidente e CEO di Siemens.
Le considerazioni del capo di Stato hanno toccato molti dei temi più sensibili di questo periodo storico, presentando la Cina come porto sicuro per il commercio e gli investimenti a fronte di un mondo complessivamente instabile e turbolento. «Grazie alla riforma e all’apertura, e sfruttando attivamente i capitali esteri, la Cina è stata capace di entrare velocemente nel mercato globale e di recuperare il ritardo sui tempi a grandi passi», ha detto Xi ai suoi interlocutori, elogiando il ruolo svolto dalle imprese e dagli investimenti stranieri nelle dinamiche della crescita e dell’occupazione nonché nel potenziamento tecnologico e dell’avanzamento manageriale, come riporta Xinhua.
«Tutto ciò evidenzia che le imprese estere partecipano in modo importante alla spinta verso la modernizzazione, alla riforma e all’innovazione del Paese, oltre che alla sua interconnettività con il mondo e alla sua integrazione nel contesto della globalizzazione economica», ha proseguito il leader cinese, ricordando al contempo che il percorso di modernizzazione nazionale complessiva, perseguito da Pechino in modo indipendente, ha rappresentato per molti anni un’ancora di stabilità per la crescita globale.
Oggi che il gigante asiatico è fortemente impegnato in un processo di riforma strutturale dell’offerta chiamato a trasformarne il volto secondo un paradigma incentrato sull’alta qualità e sulla sostenibilità del progresso economico, la Cina sta «promuovendo l’apertura di alto livello» e «compiendo solidi passi in avanti per estendere l’apertura istituzionale» in riferimento ad ambiti quali norme, regolamenti, gestione e standard.
Xi ha rassicurato i suoi ospiti sul fatto che la politica di accoglienza degli investimenti esteri «non è cambiata e non cambierà», sottolineando come «la porta della Cina potrà soltanto aprirsi di più» ed indicando in particolare due punti di forza dell’economia nazionale, potenzialmente determinanti agli occhi degli investitori stranieri: essere il secondo più grande mercato di consumo al mondo e disporre della più grande classe media del pianeta.
Laddove l’Unione Europea si è arenata per varie ragioni, sia politiche sia strutturali, il Dragone pare invece procedere speditamente. Dopo almeno tre lustri di ricerca e investimenti, la trasformazione digitale e la transizione ecologica costituiscono ormai una realtà capace di cambiare in profondità il clima per le imprese, avanzandone gli standard dal punto di vista non solo tecnologico ma anche normativo, tramite l’approvazione di «adeguati regolamenti, politiche e procedure per gli investimenti esteri». La Cina ha inoltre «promosso la liberalizzazione e la facilitazione del commercio e degli investimenti, e compiuto sforzi attivi per incoraggiare un ecosistema per le imprese di primo livello, orientato al mercato, fondato sul diritto ed internazionalizzato».
Xi ha così ribadito che il mercato del Dragone «offre un vasto palcoscenico per lo sviluppo degli affari, ampie prospettive di mercato ed un panorama politico stabile», tutti fattori che ne fanno una destinazione «ideale, sicura e promettente per gli investitori stranieri». Secondo il leader cinese, insomma, «credere nella Cina significa credere in un domani migliore ed investire in Cina significa investire nel futuro».
«Siamo stati molto fieri di aver giocato un ruolo nello sviluppo della Cina, attivando e connettendo il Paese al mondo», ha detto Sean Stein, eletto lo scorso settembre presidente del Consiglio Economico USA-Cina (USCBC), ente indipendente composto da oltre 270 aziende statunitensi che operano nella nazione asiatica. Stein, già Console Generale degli Stati Uniti a Shanghai, ha inoltre rimarcato che il Dragone è diventato il secondo mercato di consumo al mondo, garantendo agli operatori multinazionali «grandi opportunità per investire ed espandere i loro affari».
«Noi investiamo in quelle infrastrutture che sostengono i consumi interni, ed un mercato di consumo florido in Cina è una buona notizia per i nostri affari», ha affermato Hamid R. Moghadam, presidente e CEO di Prologis, fondo di investimento immobiliare con sede a San Francisco. Gli ha fatto eco Christian Hartel, presidente e CEO di Wacker Chemie, multinazionale tedesca della chimica, che ha spiegato: «Siamo da oltre trent’anni in Cina e abbiamo diversi hub produttivi. Per noi è un mercato molto grande. La Cina è anche un mercato molto attrattivo con tante opportunità oggi, in passato ma soprattutto nel futuro. Ed è questa la ragione per cui siamo qui».
Anche Ola Kallenius ha portato la sua testimonianza. Nel marzo 2024, Beijing Benz, la joint venture tra Beijing Automotive Group e Mercedes-Benz, ha raggiunto il traguardo dei cinque milioni di vetture prodotte. Sei mesi più tardi il colosso automotive tedesco ed i suoi partner cinesi hanno inoltre annunciato un ulteriore investimento da 1,92 miliardi di dollari per espandere le loro offerte di prodotti nella regione. «Il vantaggio competitivo della Cina risiede nella sua passione per l’innovazione», ha osservato lo stesso top manager svedese. «La Cina è un’oasi di certezza», secondo quanto dichiarato ai microfoni di Xinhua da Amin H. Nasser, presidente del colosso petrolifero saudita Aramco, che ha aggiunto: «Ciò che rileviamo oggi nell’ambiente globale è l’incertezza. Stiamo osservando grande imprevedibilità e quindi abbiamo bisogno della stabilità, della certezza e della prevedibilità che vediamo in Cina».
A sentire i pareri dei grandi manager globali, il Paese asiatico mantiene un’elevata reputazione quale destinazione di primo piano nel mondo. Sembra quindi inutile per i falchi dell’Amministrazione Trump tentare di boicottare il mercato cinese, come ha provato, invano, a fare in passato lo stesso tycoon e, in modo ancora più aggressivo, il suo successore-predecessore Biden. Il colosso asiatico può essere scalfito, forse ferito, ma comunque in grado di assorbire i colpi subiti e restituirli, se necessario.
Andrea Fais – Agenzia Stampa Italia
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