di Rosario Vecchione*
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Il contratto di rete, strumento giuridico che offre un importante modello operativo per le imprese che vogliano accrescere individualmente o collettivamente la propria capacità innovativa e competitività, compie tre lustri di vita. Non sono mancate però in questi anni devianze rispetto alle finalità meritevoli che il legislatore ha posto fin dall’entrata in vigore della disciplina.
Il contratto di rete può essere stipulato da più aziende (imprese individuali, società di persone, società di capitali, enti pubblici, aziende senza scopo di lucro, aziende italiane o straniere) e consente loro di unirsi strategicamente superando i limiti della piccola dimensione, andando oltre la logica territoriale tipica dei distretti e lasciando alle imprese la loro autonomia e indipendenza.
I vantaggi per le aziende sono numerosi: è possibile condividere risorse, competenze, conoscenze per lo svolgimento di progetti comuni non autonomamente realizzabili; dividere il rischio con le altre imprese della rete preservando la loro indipendenza; realizzare innovazioni di processo e prodotto altrimenti difficilmente realizzabili per la carenza di risorse finanziarie; beneficiare di economie di scala e dei vantaggi derivanti dall’agire come gruppi di acquisto e vendita; alimentare la possibilità di networking anche tra imprese distanti e accedere ad agevolazioni finanziarie e fiscali. Candidandosi come unico interlocutore a gare e appalti, le reti possono inoltre ottenere incentivi e fondi pubblici più efficacemente rispetto alle singole imprese.
Le tre motivazioni che portano a stipulare contratti di rete, nel 67% dei casi, sono: “innovazione, produzione di beni e servizi non realizzabili singolarmente, internazionalizzazione”. Il restante 33% è rappresentato da sviluppo in comune di certificazione di qualità, svolgimento di attività di marketing, reperimento di finanziamenti o accesso al credito fino allo sviluppo di attività di formazione.
Alcune delle criticità principali dello strumento sono insite nell’ampia flessibilità che il legislatore ha riconosciuto a tale forma giuridica. Spetta infatti al programma di rete e al contratto sottoscritto dalle parti definire modi, tempi e soggetti coinvolti nell’aggregazione, oltre che l’esecuzione del contratto o parti dello stesso. La previsione legislativa dà quindi luogo a vari problemi interpretativi, avvertiti da quasi un terzo delle reti a causa del non evidente confine tra la discrezionalità lasciata ai contraenti e la presenza di gap normativi.
Il difficile coordinamento delle attività di rete viene avvertito quale ostacolo all’effettiva operatività dell’aggregazione nel quasi il 40% del campione. Oltre alle difficoltà nell’interpretazione della disciplina, l’entrare a far parte della rete viene percepita dall’impresa come una necessaria rinuncia ad alcuni gradi di libertà a fronte di minori costi di accesso al mercato, di economie di scala e di scopo che nella rete possono essere conseguite.
Flessibilità e snellezza della forma associativa hanno da una parte favorito l’adozione dei contratti di rete, dall’altra hanno costituito un freno al coinvolgimento e alla messa in comune di risorse, ostacolando di fatto l’effettivo svolgimento dell’attività di rete e il raggiungimento dei fini per i quali la stessa è stata posta in essere. Esiste dunque il rischio che le caratteristiche connaturate nel contratto e che ne hanno sancito il successo, possano anche divenire causa del fallimento di tale forma di aggregazione.
E’ necessario quindi non tanto limitare il grado di duttilità del contratto di rete, che porterebbe lo stesso a convergere verso altre forme contrattuali, quanto demarcare il confine tra la discrezionalità lasciata alle parti contraenti e le lacune normative.
La regolamentazione dei contratti di rete è infatti rimessa oggi, per la quasi totalità, alla libertà e alla forza contrattuale delle imprese partecipanti; pertanto, al fine di prevenire o arginare abusi, costose controversie e l’utilizzo distorto dell’istituto, sarà fondamentale avvalersi della consulenza di avvocati, tributaristi e notai.
Proprio a causa dell’enorme sostegno che possono apportare alle piccole e medie imprese italiane, i contratti di rete avrebbero bisogno di una normativa “di sistema” in grado di coordinare tutte le materie coinvolte (diritto societario, processuale, fallimentare, del lavoro, della concorrenza): deve infatti essere la legge ad indicare alla prassi le linee guida e i limiti alla libertà contrattuale, in modo da scongiurare il rischio che questa si trasformi nell’abuso di sé stessa.
* Esperto di incentivi alle imprese, presidente Value consulting
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